IL RUOLO DELPROFESSIONISTA

Globalizzazione dei mercati, internazionalizzazione delle imprese, abbattimento delle barriere agli scambi di merci: sono tutti fenomeni con i quali l’impresa contemporanea, quale ne sia la dimensione, deve confrontarsi. E con essa il professionista, destinato sempre più a calarsi in uno scenario internazionale.
L’interazione fra i mercati nonché la necessità di uniformare a standard europei le modalità e metodologie operative delle imprese impongono ormai una approfondita conoscenza non più solo degli aspetti tecnici e legislativi del settore ove si va ad operarare, ma anche quella delle delle fonti di finanziamento del progetto di internazionalizzazione, spesso sottovalutate o addirittura sconosciute al management aziendale e/o della proprietà.
La conseguenza immediata è che spesso le opportunità disponibili, sia a livello comunitario che a livello nazionale o regionale, restano inesplorate, il margine di guadagno dell'operazione si riduce e, a volte, si arriva a compromettere l'equilibrio finanziario dell'impresa anche a causa della scarsa conoscenza del mercato di lavoro di riferimento.
Individuare la copertura finanziaria più adeguata per un investimento di internazionalizzazione significa in primo luogo avere gli strumenti tecnici per tradurre il progetto imprenditoriale in un piano dei costi e dei ricavi (business plan con conto economico prospettico e relativo cash-flow).
Il passo successivo richiede la conoscenza delle varie linee di finanziamento suddividendole per area geografica, finalità di intervento, settore operativo.
Altro strumento di cui le PMI dispongono è la fiscalità internazionale, ovvero di quella leva che si occupa di ottimizzare la tassazione delle scelte economiche, nelle diverse fasi di sviluppo delle attività aziendali all'estero e nel rispetto delle norme esistenti.
In questo senso, la pianificazione legale e fiscale riveste un'importanza primaria per qualsiasi azienda impegnata in un progetto di investimento all'estero (penetrazione commerciale e/o localizzazione produttiva). La fase di diversificazione operativa o di internazionalizzazione delle attività può infatti accompagnarsi tanto a soluzioni di tipo tradizionale quanto alla costituzione di società estere in aree fiscalmente privilegiate.Tali scelte devono essere integrate da interventi di tipo innovativo che abbiano come fondamento la validità economica dell'attività di pianificazione fiscale.

In concreto queste soluzioni possono riguardare dislocazione ottimale, su base geografica, di centri di profitto e centri di costo, la specializzazione delle attività a seconda delle aree stesse, la favorevole localizzazione delle componenti di maggiore valore aggiunto nelle aree più favorevoli.
La realtà nazionale spesso ignora questi strumenti ed è, nella maggior parte dei casi, legata ad una forma di internazionalizzazione passiva e di marketing saltuario;il ruolo del professionista diventa allora quello di fornire strumenti idonei a far evolvere le strategie dell’impresa verso un'internazionalizzazione ragionata, attiva, supportata dai vari strumenti fin qui esemplificati e rafforzata da operazioni di marketing totale.
Al posto quindi di una forma di internazionalizzazione passiva del commercio, in cui é assente la ricerca diretta del cliente da parte dell’azienda così come una politica promozionale strutturata, e ove esiste solo la figura di un esportatore esterno all'azienda che si assume in proprio il rischio di collocare la merce, il marketing è di tipo saltuario. Target prodotto
Esemplificando questa situazione, un'azienda di piccole dimensioni rintraccia un agente che lavora principalmente in Giappone, vende la merce al medesimo e non ha alcun tipo di rapporto con il cliente finale giapponese, il quale per l'acquisto, il pagamento ed eventuali proteste si riferirà unicamente all'agente.
E' evidente che un'internazionalizzazione di questo tipo prevede operazioni di marketing, ma ne è altrettanto evidente la superficialità.
In altre parole le uniche azioni in tale senso saranno quelle di analisi dei bisogni di una particolare area geografica (anche se questo viene fatto raramente) e di ricerca di un esportatore.
L'internazionalizzazione attiva, quella ragionata, ha invece nell'azienda esportatrice la protagonista.
Questa, infatti, attraverso operazioni di marketing totale, studia il paese di riferimento, ricerca le opportunità, analizza i mercati e la concorrenza, identifica metodi e soluzioni alternative di presenza e di vendita sui mercati, ricerca e seleziona il partner estero, anche finanziario, studia politiche di prodotto, eventualmente rivisitandolo per renderlo appetibile al mercato target e si accolla il rischio relativo all'operazione sul mercato estero.
Spesso questi passaggi non vengono affrontati quando si decide di affrontare un mercato estero, poiché inconsciamente si ritiene che avendo un discreto successo nel nostro paese, questo possa essere un buon "passaporto" per l'estero.
Ma è noto come spesso, e questo è il caso, peccando di presunzione si commettano errori.
È necessaria una presenza significativa sul mercato internazionale, sia attraverso forme classiche di internazionalizzazione, che attraverso forme più moderne e maggiormente determinanti.Scartato così il semplice commercio con l'estero tramite agenti, restano forme alternative di internazionalizzazione.
Agli imprenditori ed ai dirigenti delle PMI rimane ora la scelta tra una forma di approccio con l'estero ancora di carattere tradizionale, come gli IDE (Investimenti Diretti all'Estero) ovvero flussi internazionali di capitale attraverso cui un'impresa crea od espande la propria filiale in un altro paese, oppure altre tipologie di internazionalizzazione, ad esempio:
- i subappalti ed i decentramenti produttivi internazionali extragruppo (che permettono di disintegrare verticalmente le fasi di ciclo produttivo affidandone una parte ad imprese localizzata in paesi a basso costo di lavoro)- la joint venture- altri accordi di cooperazione industriale internazionale.

Ma quale elemento spinge un'azienda verso l'una o l'altra soluzione ?
In termini di rischiosità, tempistica di realizzazione e grado di controllo della merce, sia gli IDE che le joint venture, presentano una certa somiglianza; molto diverso è invece il livello di conoscenza e di interattività con il cliente straniero.
Attraverso gli IDE si crea una filiale all'estero completamente controllata dall'azienda italiana e quindi poco integrata nella realtà straniera.
Una joint venture, al contrario, rappresenta un buon mix tra azienda italiana e azienda straniera, che collaborano, al fine di creare un prodotto maggiormente consono alla realtà in cui verrà venduto. E' come se l'azienda italiana concedesse le conoscenze tecniche e quella straniera le utilizzasse per integrarle al meglio nella società in cui il prodotto finito dovrà essere inserito.
Avvalendosi di queste nuove strategie, l'azienda ha la possibilità di migliorare la propria posizione in ambito internazionale, attraverso la fidelizzazione del cliente, che gode della sicurezza di un prodotto Made in Italy (azienda italiana) ed il maggior contatto con i cambiamenti del mercato estero.
Allo stesso tempo la PMI ha la possibilità di raggiungere altri obiettivi di carattere maggiormente aziendale, come, ad esempio, il conseguimento di economie di scala (possibilità di accedere ad input quali materie prime e forza lavoro a costi inferiori), l'accesso a conoscenze tecniche, la realizzazione di sinergie con altre imprese ed il frazionamento dei rischi.
L’Internazionalizzazione quindi va vista in senso lato, non solo come vendita all’estero, ma deve essere intesa anche come collaborazione tecnologica, cessione/acquisto di know-how, (de)localizzazione produttiva, ottimizzazione delle reti distributive e, più in generale, tutto quello che sposta al di fuori dal territorio nazionale il confine delle aziende.
Il supporto di “tecnici dell’internazionalizzazione” è quindi fondamentale per la correttezza del processo.

INTERNAZIONALIZZAZIONE: LE ISOLE CANARIE
SITUAZIONE POLITICA
Le Isole Canarie fanno parte del territorio spagnolo e sono pienamente integrate nell’Unione Europea. La sede di capoluogo è duplice, divisa tra le città di Las Palmas de Gran Canaria e Santa Cruz de Tenerife.
Le Canarie si sono costituite in Comunitá (Regione) Autonoma il 16 agosto del 1982, data in cui è entrato in vigore il suo Statuto dell’Autonomia. Le Canarie contano con un Parlamento ed organi di governo propri che gli conferiscono la stabilità politica e sociale proprie di un sistema democratico avanzato.
Alle Canarie si applica la totalità delle politiche comunitarie. Nonostante, le peculiarità geografiche delle isole permette loro di beneficiare di una serie di eccezioni e modulazioni molto favorevoli nell’applicazione del Diritto Comunitario.
SITUAZIONE GEOGRAFICA
Le Isole Canarie si trovano nell’Oceano Atlantico, a 1.050 km dal continente europeo, di fronte alla costa occidentale dell’Africa. L’arcipelago è composto da sette isole maggiori e da altre di minori dimensioni, divise in due province: la provincia di Las Palmas, formata dalle isole di Gran Canaria, Fuerteventura e Lanzarote, e la provincia più occidentale, Santa Cruz de Tenerife, che è formata dalle isole di Tenerife, La Palma, El Hierro e La Gomera.
Con una superfice totale di 7.447 km2, le isole contano con una popolazione di 1.630.000 abitanti circa (1998). Le due isole più popolate sono Gran Canaria e Tenerife. La prima ha una popolazione di 715.994 abitanti e la seconda di 677.485 abitanti.
ECONOMIA
L’economia canaria è caratterizzata dalla grande importanza del settore terziario, che rappresenta più di un 80% del Prodotto Interno Lordo (PIB o “Producto Interior Bruto”), concentrato prevalentemente nel turismo nel commercio.
Le isole dispongono di un’offerta turistica di alta qualità. Per la loro situazione geografica, il clima invidiabile, definito come “il miglior clima del mondo”, con temperature medie annuali che oscillano tra i 15 ed i 24 gradi, unito alla bellezza dei suoi paesaggi ed alla qualità dei suoi servizi, sono diventate il destino turistico per eccellenza degli europei: più di 18 milioni di turisti hanno visitato le isole nel 2019.
Il contributo al PIB delle Canarie da parte del settore primario si concentra principalmente nella banana (“platano”), essendo la regione europea con maggior livello di produzione delle banane e con maggior superfice dedicata a questa coltivazione. Rilevante è anche la produzione di pomodori e di fiori oltre a quella della patata (“papa”) e del vino.
L’attività della pesca nell’arcipelago ha giocato un ruolo fondamentale nelle strategie di crescita economica. Infatti, i porti canari sono tra i più importanti dell’Atlantico Centrale e si trovano al centro del Banco Peschiero Canario-Sahariano.
La produzione agricola precedentemente descritta, unita alla pesca, rappresenta la maggior parte delle esportazioni con origine nelle isole.
L’attività industriale è basata fondamentalmente nel settore dell’energia e dell’acqua, produzione alimentare, lavorazione del tabacco ed altre industrie leggere e della costruzione.
Appartenendo le Canarie all’Unione Europea, la maggior parte delle esportazioni sono dirette ai suoi paesi membri. Negli ultimi anni è aumentata la percentuale delle esportazioni ad altri continenti, come Africa ed Asia. La politica commerciale del governo delle Canarie si è indirizzata verso il miglioramento della presenza nei mercati dell’Africa Occidentale.
